Lo provai da un’amica due anni fa, ma Days Gone aveva bisogno della mia totale attenzione. Ho quindi atteso abbastanza da non ricordarne più nulla, così da poterlo vivere appieno. Sebbene Days Gone non sia perfetto, si fa giocare ed appassiona in un modo tutto suo. E colpisce nel cuore un’appassionata come me di apocalissi zombie.
Un uomo alla ricerca di una ragione per vivere
Secondo me, Days Gone funziona per il semplice fatto che non vuole essere un capolavoro, un titolo impegnativo e con tremila motivi per pensarci in continuazione. Non vuole dare al giocatore un motivo per pensare. Vuole dargli un motivo per divertirsi. Sia chiaro, adoro i titoli impegnativi, quelli che anche ad un anno di distanza sei ancora lì a pensarci (vero Death Stranding?), tuttavia a volte credo che serva solo un po’ di sano relax. No, Days Gone non fa rilassare, almeno non fa rilassare me, ma allo stesso tempo mi porta via. Per le ore in cui gioco sono in quel mondo distrutto ed abbandonato, dove il pericolo è sempre dietro l’angolo. Days Gone si distacca nettamente dalla maggior parte delle opere contemporanee legate agli zombie. Sì, sto parlando di The Walking Dead e di The Last Of Us. Se The Walking Dead ci ha insegnato ad avere paura più dell’uomo che dello zombie, e se The Last Of Us ci ha insegnato che prima di tutto dobbiamo essere umani, Days Gone ci insegna che in un mondo distrutto dagli zombie la speranza è l’unica cosa che ti mantiene in vita.
Perché Deacon vive di speranza, di ricordi e dell’amore per la sua amata, Sarah. Sebbene si lasci spesso trascinare dalle sue emozioni, Deacon agisce in nome del suo amore, della speranza che lo lega a Sarah. È una storia banale? Forse sì, ma non lo è più, in mezzo a tutti questi videogiochi e film in cui “lo zombie fa solo da sfondo al male umano”. Qui non è così. Sì, si incontrano uomini che di umano ormai hanno ben poco, ma sono loro lo sfondo di questa avventura, non il contrario. E fra tante “opere impegnate”, Days Gone è un soffio d’aria fresca.
L’apocalisse zombie è servita!
L’avventura di Deacon diverte, grazie ad un gameplay che anche se derivativo, riesce a creare una ricetta ottima, che permette al giocatore di entrare completamente in quel mondo. È la dimostrazione che non serve creare per forza gameplay unici, innovativi e mai visti prima, serve solo miscelarli nel migliore modo possibile. Fin dai primi secondi di gioco, con controller alla mano, ti senti a casa. Sai già come funzionano le meccaniche di gioco, non hai bisogno che qualcuno te le spieghi. E questo può essere un grande punto a favore, perché permette al gioco di essere immediato, così da trascinare il giocatore immediatamente dentro la storia.
Days Gone sì, ha dei difetti, non si può dire il contrario, sarebbe una bugia bella e buona. Però sono difetti che in linea generale non pesano sul gioco. Lo sto giocando a due anni dalla sua uscita, e devo ammettere che non ho incontrato grandi bug, se non piccoli dettagli che mi hanno portata più a sorridere che ad altro. A sorridere, sì, perché sono cose banali, che anche su grandi titoli possono succedere. Ma quando alzi lo sguardo, e vedi l’ambientazione attorno a te, i bug spariscono. L’ambientazione è qualcosa di fantastico. La strada verso il fotorealismo è in salita, ma la moto di Deacon è abbastanza potente da riuscire ad arrivare quasi in punta alla salita. Si possono migliorare tante cose, ma tutto sommato non ce n’è un grande bisogno.
Days Gone: sopravviverai insieme a Deacon?
La mia risposta è: se riesco a non infilarmi in mezzo alle orde, sì! Eh sì, perché due volte mi sono ritrovata praticamente in mezzo alle orde, ritrovandomi costretta a fuggire per non diventare mangime! Le orde, però, sono puro divertimento. Sono impegnative, va detto, perché dovrete studiarvela nel migliore dei modi, ma quando avrete trovato la vostra tecnica, sarà una vera goduria!
Da un Open World ambientato in un mondo distrutto dagli zombie, non potevo chiedere di meglio.
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