Ho iniziato Death Stranding (subito dopo aver ottenuto il Trofeo Platino di Horizon Zero Dawn) al DayOne, è stato il primo titolo che ho preordinato. Ero felicissima della mia decisione e non vedevo l’ora di avviarlo. Ci ho speso tantissime ore (ho sfiorato le 100 al finale) e ne voglio ancora spendere per ottenere il Trofeo Platino (se mai avrò la pazienza!). È stato un viaggio unico, che mi ha segnata moltissimo.
Death Stranding è un viaggio da lontano nel nostro mondo
Death Stranding non è semplicemente un videogioco. Non è una scusa per giustificarne il gameplay o le cutscene eterne. È che dobbiamo ammetterlo, non c’è un altro titolo così. E probabilmente mai ci sarà.
La complessità di Death Stranding lo rende un titolo che non può arrivare a tutti i videogiocatori. Più che in tanti altri titoli, bisogna entrare nel videogioco e rendere Sam una parte di noi. Sembra una cosa scontata, ma non lo è. Sam Porter Bridges è un personaggio complicato, ma la sua caratterizzazione lo rende perfetto per questo compito. Il suo modo di porsi con le altre persone, distaccato e di poche parole, ci permetterà infatti di pensare per conto nostro, dando peso alle azioni che intraprenderemo. Sebbene non ci siano momenti in cui ci toccherà prendere delle decisioni, quelle di Sam ci sembreranno il più delle volte perfette, perché dettate da un’umanità che nemmeno il Death Stranding ha potuto distruggere.
Non vi starò a parlare del gameplay “nudo e crudo”, ma di come ha segnato la mia esperienza con questo videogioco. Intanto, non mi ha mai annoiata. Questo perché anche se non ci sono molte cose diverse da affrontare, ci sono moltissimi modi diversi per affrontare la stessa cosa. Il videogiocatore ha una libertà molto ampia, può semplificarsi la vita o può decidere di complicarsela, aumentando il livello di sfida. Allo stesso tempo, le passeggiate da corriere che ci toccherà intraprendere, potranno essere affrontate come più preferiamo. Ed anche se il percorso sarà segnato, non vuol dire che sarà una cosa semplice!
Questo perché Death Stranding vuole donare ai giocatori un’esperienza, non un gioco che dopo il finale si dimentica, passando subito ad altro. Death Stranding ti resta dentro, ti segna e ti accompagna per sempre.
Hideo Kojima e la sua visione del mondo
Hideo Kojima ha sfruttato la sua opera per trasmettere un messaggio al mondo, per segnare i suoi giocatori e per farli pensare di più. Death Stranding lancia un messaggio ben preciso: Dobbiamo rispettare il mondo in cui viviamo ed apprezzarlo il più possibile, senza mai spingerci oltre i nostri limiti. Sebbene l’ambientazione sia cupa e voglia trasmettere solitudine e tristezza, questo videogioco è un inno alla vita. Non è un messaggio immediato, ma è così. Trasmette speranza e voglia di vivere, anche se il mondo attorno a protagonisti sta collassando.
Ci vorrebbero ore ed ore, articoli su articoli per analizzare ogni singolo aspetto di questo videogioco. E forse prima o poi lo farò. Per ora posso solo dirvi che sono felice di averlo terminato, di averne vissuto ogni momento. Mi ha regalato emozioni uniche, mi ha trascinata dentro la storia e mi ha costretta a viverla, come se fossi lì. Stancandomi con Sam ed emozionandomi con lui. È stato un viaggio unico, e chissà cosa ha in mente Kojima per il futuro… un sequel? Onestamente non credo. Death Stranding è un’opera singola ed irripetibile.